Month: ottobre 2013

Dieci domande sulla scrittura nell’Italia degli anni Dieci: Emmanuela Carbé

“Quando Pinocchio, affamato e solo, cerca qualcosa da mangiare nella casa di Geppetto, trova un uovo e subito si affretta a romperlo per cucinarlo sul tegamino. Nell’uovo però non c’è albume e non c’è tuorlo: c’è un pulcino che sculettando verso le porta di casa si congeda allegramente: “Mille grazie, signor Pinocchio, d’avermi risparmiata la fatica di rompere il guscio! Arrivedella, stia bene e tanti saluti a casa!”. Il pulcino per me è la leggerezza, la sfacciataggine e il candore di chi non si pone il problema dell’albume e del tuorlo. Vorrei imparare anche io, almeno quando scrivo, a uscire dalla casa di Geppetto sculettando”.

Personale piccola playlist: Luca Carboni

di Davide Saini

Quarto articolo della nostra rubrica di musica che tenta di far riscoprire qualche canzone che ben si conosce ma non si ascolta da tanto tempo, di ricordare l’esistenza di qualche altra dispersa nella memoria, di farne scoprire qualcuna mai sentita, e soprattutto di dare degli stimoli ai lettori. Questa settimana parliamo di Luca Carboni.

Immaginazione e dialogo: la poesia di Luigi Socci

di Martina Daraio

Discorso di presentazione del 31/08/2013 per il Festival Adriatico-Mediterraneo.
Luigi Socci è nato ad Ancona, dove vive, nel 1966. È un poeta marchigiano tra i più interessanti del panorama contemporaneo, e dunque uno dei tesori che la nostra terra può offrire. Dopo anni di pubblicazioni a grappolo tra riviste, antologie e siti internet, “Il rovescio del dolore” è la sua prima vera raccolta, costruita in circa un ventennio di lavoro. Si tratta di un libro in cui si utilizzano un linguaggio e delle situazioni estremamente accessibili, osservate “dallo spinoncino della porta”, con uno sguardo defilato ma critico e attento, diviso tra immaginazione e dialogo.

Dieci domande sulla scrittura nell’Italia degli anni Dieci: Andrea Scarabelli

“No, non penso che la necessità di scrittura sia aumentata, semplicemente che quello che prima restava al di fuori delle pagine dei libri o degli articoli editi era confinato a una dimensione diaristica o di corrispondenza privata (anche se magari in seguito pubblicata). Oggi c’è la rete e per la maggior parte degli autori è un’occasione troppo ghiotta. Si tratta di una situazione condizionata da un mezzo che prima non c’era. Personalmente credo paghi (sia in termini di autopromozione sia in termini di azione culturale) un uso consapevole del mezzo, mentre ritengo che la dinamica dell’occupazione massiccia di spazi come la definisci efficacemente sia deleteria, e non faccia altro che alimentare la parte peggiore dell’ego, che in un percorso artistico può solo essere d’intralcio”.

Contro la “filosofia” del festival

di Paolo Caloni

Di recente, grazie al lavoro della Balena, abbiamo potuto seguire da vicino l’importante Festival della letteratura di Mantova. Confesso però che sono personalmente contrario a questo genere di iniziative; anzi trovo che la proliferazione dei festival sia l’indice della trasformazione di attività culturali – che diversamente non avrebbero altrettanto seguito – in circuiti economici. Cercherò di articolare le mie osservazioni rivolgendomi in particolare al Festival della filosofia, quanto meno per la maggior attinenza dell’argomento alle mie esperienza e competenze. Se poi vorrete ampliare queste riflessioni anche alla molteplicità di altri festival che si tengono in Italia (scienza, economia – un festival al quadrato –, diritto – un festival del diritto?! –, mente, lavoro), siete liberi di farlo.

Raccontare un posto che non c’è: scritture dall’Africa

di Giacomo Raccis

All’alba del terzo millennio si potrebbe ingenuamente pensare che le nuove leve della letteratura africana (e mi si perdoni ancora una volta questa etichetta) possano ormai prescindere, almeno esplicitamente, da quei riferimenti al pensiero della differenza e al post-colonialismo che avevano invece caratterizzato le scritture dei loro padri. Un giorno scriverò di questo posto e Città aperta ci mostrano invece come la questione del rapporto Occidente-Oriente (dove, con Edward Said, si può far rientrare nell’Oriente tutto ciò che “non è Occidente”) sia ancora lontana dall’essere risolta. Tuttavia, le posizioni diametralmente opposte di Wainaina e Cole di fronte alla questione lasciano intravedere due differenti percorsi per affrontare la contraddizione.

Dieci domande sulla scrittura nell’Italia degli anni Dieci: Virginia Virilli

“Pasolini in un’intervista con Biagi fatta negli anni Settanta disse a proposito del suo suscitare sempre reazioni polemiche con le sue opere che forse questo era determinato da una sua tendenza a immettere sempre l’oxymoron nella sua scrittura, cioè a costruire il suo pensiero per opposizioni, cosa che impediva alle sue creazioni di essere consumate in modo liscio, normale. Ecco, io credo in questa matrice istintiva e quasi indeterminabile dell’impegno civile. Viceversa non credo a un impegno civile che si manifesta perché altrimenti come autori ci sente sminuiti, meno importanti”.

Personale piccola playlist: Com’è profondo il mare

di Davide Saini

Terzo articolo della nostra rubrica di musica che tenta di far riscoprire qualche canzone che ben si conosce ma non si ascolta da tanto tempo, di ricordare l’esistenza di qualche altra dispersa nella memoria, di farne scoprire qualcuna mai sentita, e soprattutto di dare degli stimoli ai lettori. Questa settimana parliamo di Lucio Dalla.

“L’amore è tutto: è tutto ciò che so dell’amore”: un marchingegno difettoso

di Francesca Salamino

Il rischio di parlare di sentimenti universali, come l’amore, è quello di abbattere il confine tra grandi verità uguali per tutti ed esperienza personale, imperfetta e affatto uguale per tutti. Allora la chiave diventa il modo in cui si parla di tutto questo. Questo modo deve essere chiaro, proponendosi come qualcosa di definito e di comprensibile, e subito dopo onesto, rispettando la forma che si è scelta per raccontare.

Dieci domande sulla scrittura nell’Italia degli anni Dieci: Paolo Di Paolo

“Dopo i cannibali, poetiche o correnti se ne sono viste più a fatica. I Tq (trenta-quarantenni) avevano provato un paio d’anni fa a lanciare una prospettiva generazionale, ma con risultati – direi per fortuna – scarsi. L’etichetta è già scomparsa e i Tq, com’è naturale che sia, invecchiano verso altre sigle. Sono più sensibile a rapporti di vicinanza, di amicizia “casuali” che producono effetti nel lavoro editoriale, nei libri, nel paesaggio culturale, e molto meno ai “gruppi”, agli intruppamenti. Le foto-ricordo del Gruppo 63, per esempio, non mi danno nessun brivido. Né, più indietro, le adunate futuriste. Sono un po’ allergico ai manifesti, ai precetti, ai programmi. Mi interessano le singole personalità in rapporto ad altre…”

Nel territorio nemico della Resistenza

di Giacomo Raccis

Antonio Scurati, qualche anno fa, concludeva un suo breve saggio sulla Letteratura dell’inesperienza invitando tutti gli scrittori a scrivere i propri romanzi come fossero dei romanzi storici. Ne faceva una questione di posizionamento di chi scrive rispetto al proprio ambiente sociale: non si trattava necessariamente di parlare di epoche storiche lontane, di vicende dimenticate o di riscritture di verità arcinote.
Ad ogni modo, non si può dire che quell’esortazione non sia stata seguita. Anzi. Come anche un recente volume di Giuliana Benvenuti sottolinea, oggi il romanzo storico vive in Italia una nuova giovinezza. Se mai ne avesse avuto bisogno…

Le trafitture del mondo – “Frontiera” e “Diario di Algeria” di Vittorio Sereni

di Andrea Pastore

Nel faticoso tentativo di definire cosa fosse la poesia, Paul Celan parlò di «un dono fatto agli attenti, un dono che implica destino». Se il concetto di “predestinazione” si discosta un poco da una poesia così riservata come quella di Vittorio Sereni, sicuramente tutt’altra consonanza ha quello di “attenzione”. Attenzione, va da sé, alle problematiche – letterarie e non – della contemporaneità, ma anche profonda scrupolosità nel mantenere una lucida posizione personale lontana dalle correnti e dalle mode, fedele ai propri ritmi e alle proprie necessità.

Dieci domande sulla scrittura nell’Italia degli anni Dieci: Giovanni Montanaro

“Ci si legge, ci si stima. Poi ognuno fa le sue scelte. Certo, noi venti/trentenni siamo piuttosto noiosi, ironici ma seri, scriviamo libri seri. Altro che il “cazzeggio” esasperato degli anni Novanta, la fantasia irresistibile degli Ammanniti e Scarpa. Siamo comunque, in generale, più introspettivi ma forse meno individualisti. Sarà che stiamo crescendo nella paura? Sarà il periodo buio che vive il nostro paese?”

Personale Piccola Playlist: Rossana Rossana (Berg e Rac)

di Davide Saini

Secondo articolo della nostra rubrica di musica che tenta di far riscoprire qualche canzone che ben si conosce ma non si ascolta da tanto tempo, di ricordare l’esistenza di qualche altra dispersa nella memoria, di farne scoprire qualcuna mai sentita, e soprattutto di dare degli stimoli ai lettori. A partire dalla musica italiana e cantautorile. Questa settimana tocca a Roberto Vecchioni e alla sua “Rossana Rossana”.